Jose Luis Garcia, la fotografia come poesia visiva ed emozionale.

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Fu Louis Hippolite Bayard il primo fotografo a parlare di mostra fotografica a Parigi nel 1839, esponendo 30 immagini in positivo su carta. Da allora la fotografia ha fatto passi da gigante, al punto che negli ultimi anni le quotazioni dei maestri internazionali, così come quelle degli artisti emergenti sono andate alle stelle. Opere fotografiche sono esposte nei più importanti musei e nelle più grandi esposizioni d’arte al mondo ed oggi possiamo parlare di fotografia artistica come disciplina alla pari della pittura e della scultura. In questo contesto, con un GPA superiore alla media, un bachelor in Belle Arti ad indirizzo arti visive, presso la New World School of the Arts della University of Florida e un master in Belle Arti alla Florida International University, Jose Luis Garcia ha fatto irruzione nella mondo della fotografia, scattando immagini non convenzionali attraverso l’arte Xerox, o arte della copia, con la ri-concettualizzare delle immagini, in una prospettiva molto personale: “Mi è stato spesso detto dal pubblico che si sono sentiti esclusi dai dialoghi sull’arte concettuale e le opere radicate nella teoria dell’arte, e di conseguenza trovano difficile comprenderne il significato”, ha spiegato Josè. “Trovo che l’uso di immagini personali, come le foto di famiglia, consenta al pubblico di connettersi con il mio lavoro a un livello più profondo e intimo.“ Perchè di poesia visiva, oltre che emozionale si tratta: la sua arte è a favore di una identificazione completa tra arte e la vita che mischia immagini come se fosse una palette  di colori.

Figlio di educatori, pur avendo ricevuto numerosi riconoscimenti e aver partecipato a diverse esposizioni, negli anni il suo focus non è stato quello di avere uno studio personale, bensì di insegnare e fare ricerca in una comunità nella quale ci sia la possibilità di condividere informazioni che riguardano diverse discipline. Interessante a riguardo è stato un progetto nell’ambito della Miami Book Fair tra il 2012 e il 2015 in cui artisti e scrittori locali hanno collaborato alla stesura di un foglio stampato con narrazioni scritte che sono riuscite a colmare il divario tra l’arte fotografica e la scrittura. Jose dice: “È molto importante per i giovani tenere a mente che ci sono così tanti percorsi al di fuori della propria pratica in studio che possono essere intrapresi per sostenere le arti o per educare”.

Il talento di Jose lo ha già visto protagonista di tre esposizioni personali: Family Aggregate, alla The Photography Gallery di FIU a Biscayne Bay;  Forget Me Not, agli Urban Studios di FIU Miami Beach e l’ultima, alla quale ho assistito personalmente, In My Mind’s Eye, curata da Danielle Damas e strutturata in tre parti. È sostanzialmente una tesi di laurea espositiva. Tema della tesi è la memoria e il suo significato sociale e personale che Josè Luis Garcia esplora attraverso la fotografia vernacolare con scene tratte dal suo repertorio familiare e personale, trattate in modo quasi diaristico, attraverso immagini di festività, vacanze ed estati trascorse sulle spiagge di Key Biscayne, fotografie scolastiche e ritratti, fatti con l’obiettivo di catturare un ricordo o un momento introspettivo in grado di dare conforto e sconforto allo stesso tempo. Nella serie Untitled che comprende il periodo tra 1979-1998, Garcia ripercorre il tema dell’identità e della memoria in una semplice disposizione verticale tipo growth chart, grafico di crescita, in cui sono presenti differenti membri della famiglia.

In un’altra serie Untitled, del  2008, attraverso l’image transfer compone un trittico in legno (legno abilmente modellato e lavorato dal papà artigiano di origini cubane) in cui sono rappresentati tre soggetti maschili che evidenziano le differenze attraverso lo scorrere del tempo e delle circostanze. È della serie Gone la mia opera preferita, sia per l’intensità del soggetto, che per l’opera artistica in sé che è la rappresentazione in ripetizione di uno splendido viso di donna, il viso della mamma, anch’ella cubana, scomparsa in età molto giovane. José, che ha i suoi medesimi occhi, ripete la sua immagine per otto volte interrompendone il ritmo, proprio come il processo del ricordo: ad ogni scansione o trasferimento la fotografia diventa più sfocata, sepolta, nascosta o distorta fino a non riuscire più a riconoscerla. Quest’opera rappresenta il ricordo che va sfumando nel tempo fino a perdersi, se non fosse per la fotografia che ne mantiene vivo il ricordo per l’eternità.

Sempre la mamma è il soggetto di La Quinceañera, e questa volta Jose mette in luce l’importante cerimonia di origine latino americana con la quale si celebra il compimento del quindicesimo anno che segna il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta. L’opera è disposta da sola su un intero muro, quasi a volerne rappresentare la sacralità, e la ripetizione si compone in questo caso di 15 piccole immagini. Piccole sono anche le fotografie della serie Nessun posto è come casa in cui Garcia copre intenzionalmente le immagini delle case del vicinato, con il quale convive da 25 anni, con del colore acrilico dall’effetto bianco fluido. Lo stesso meccanismo è messo in atto nelle immagini che ritraggono lui e il papà in spiaggia. I personaggi sono quasi completamente cancellati come con una sorta di scolorina. Questa cancellazione espone bruscamente i forti legami tra la memoria o l’interpretazione della memoria e dell’identità personale. In Snapshot buried istantanee sepolte, una piccola installazione all’interno di uno spazio definito dell’esposizione mostra attraverso l’utilizzo creativo dei classici giochi da spiaggia per bambini, appositamente riempiti di sabbia nei quali Garcia inserisce fotografie di quando da piccino giocava sulle spiagge di Key Byscayne che per lui hanno rappresentato la casa, l’interconnessione con l’ambiente che lo ha circondato.

Tutte piccole immagini famigliari, intime e personali che ripercorrono il cammino a volte nostalgico e doloroso di Josè che decide di farne opere d’arte utilizzando differenti medium e tecniche, soprattutto l’Image Transfer -trasferimento dell’immagine- che gli consente di portare la fotografia ad un livello superiore. Josè trasferisce la perfezione catturata dalla fotografia principalmente su carta e su legno, creando con l’image transfer imperfezioni e unicità, scomponendo la superficie dell’immagine come se necessitasse di aria per respirare, di spazio attorno a sé per vivere di vita propria. È questo il caso delle fotografie in serie del papà riprodotte con una parte mancante in progressione e dalla unicità che si è creata attraverso il transfer.

Opere sempre e comunque di piccole dimensioni, non per una questione di spazio ma perchè la sua poesia personale è intima e può essere accolta in piccoli spazi esattamente come il nostro cuore può stare in una piccola parte del nostro corpo.

Per riassumere la propria vista come memoria da sopravvissuto Jose Luis Gracia si affida alla citazione di una grande fotografa americana contemporanea, Nan (Nancy) Godin, membro dei Boston Five, il cosiddetto Gruppo dei Cinque di Boston, la quale afferma che: “Ogni volta che passo attraverso qualcosa di spaventoso, traumatico, sopravvivo scattando foto”. E le foto, dagli album e dai cassetti, stipate in vecchie scatole hanno cominciato a diventare oggetto di collezioni anche museali, perchè la fotografia vernacolare esercita un particolare fascino nella sfera della memoria collettiva mettendone in scena gli archetipi della società, toccando il nostro inconscio e facendo diventare l’immagine parte del nostro vissuto.

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